Legalizzazione, apostille e traduzione dei documenti stranieri: tutto quello che c’è da sapere
Per fare in modo che un documento in lingua straniera (proveniente dal Paese estero di origine o di stabile residenza) possa valere in Italia per la Pubblica Amministrazione c’è solo una strada, ed è quella della legalizzazione.
Per procedere all’autocertificazione di determinate circostanze, infatti, si deve necessariamente passare per la conoscenza e l’acquisizione da parte dell’ufficio pubblico italiano che ne ha competenza.
Ma cosa succede nel caso in cui alcune cose non siano autocertificabili?
Proprio in questo caso entra in gioco la legalizzazione dei documenti per la cittadinanza, ovvero l’attribuzione di validità di un documento secondo la legge italiana, che viene eseguita dall’istituto della legalizzazione dei documenti.
A cosa serve l’atto di legalizzazione?
In sostanza a dimostrare l’esistenza del documento in lingua straniera nel momento in cui lo stesso assume rilevanza per l’ordinamento italiano.
Come avviene la legalizzazione?
Nella maniera più semplice, ovvero tramite l’apposizione di un timbro sull’originale dell’atto da legalizzare, dove viene attestata in maniera ufficiale la qualifica legale del pubblico ufficiale che ha firmato l’atto e l’autenticità della firma.
I documenti in lingua straniera da legalizzare devono essere abbinati alla loro traduzione in lingua italiana. Una traduzione che deve avvenire in maniera conforme da parte della competente Autorità diplomatica o consolare italiana, ovvero da un traduttore ufficiale accreditato dal Consolato italiano del Paese d’origine o di stabile residenza del cittadino straniero.
Le firme su atti e documenti prodotti in un Paese estero e che necessitano di validazione in Italia devono essere legalizzate dalle Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane di quel Paese.
La legalizzazione può riguardare diversi atti, come ad esempio gli atti dello stato civile e dell’anagrafe, ma anche gli atti pubblici formati in uno Stato da produrre nel territorio di un altro Stato. In alcuni casi la legalizzazione può non essere ritenuta necessaria: viene infatti fatto cadere l’obbligo della legalizzazione in alcuni casi stabiliti da leggi o accordi internazionali.
Ad esempio, è molto nota l’abolizione della legalizzazione degli atti pubblici stranieri contenuta all’interno della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961.
Ma cosa utilizzano i Paesi che aderiscono alla Convenzione dell’Aja per sostituire la legalizzazione degli atti?
Ci si serve delle cosiddette apostille, ovvero delle annotazioni – perfettamente conformi al modello allegato nella Convenzione – che vengono poste sull’originale del documento straniero: ad eseguire questa operazione interviene l’Autorità estera indicata come competente dalla legge di ratifica della Convenzione.
Pertanto i cittadini stranieri che devono far valere un documento prodotto in un Paese che rientra tra quelli che aderiscono alla Convenzione dell’Aja devono recarsi presso l’Autorità competente nel proprio Stato per ottenere l’apostille. Dato che tra i Paesi che aderiscono alla Convenzione dell’Aja c’è anche l’Italia, la legge italiana riconosce validità a quel documento.
Per essere più chiari, l’apostille consente di attestare la veridicità della sottoscrizione e della qualifica legale del pubblico ufficiale straniero che ha rilasciato il documento, oltre a certificare che il timbro o il sigillo apposto sull’atto sia autentico.
Con l’apostille è quindi possibile fare a meno del procedimento di legalizzazione di documenti vari, come ad esempio quelli che fanno riferimento ai legami familiari.
La Convenzione di Londra del 1968 ha anche stabilito un elenco che precisa l’esenzione dalla legalizzazione dei documenti e degli atti redatti dai rappresentanti diplomatici e consolari di diversi Paesi. Si tratta di Austria, Cipro, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna (e Isola di Man), Grecia, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Moldova, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia (nel 2003 è stata aggiunta la Polonia).
Inoltre, la Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987 ha stabilito la soppressione di ogni forma di legalizzazione tra Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda e Italia.
Esiste anche una strada alternativa, che consiste nel rilascio di un certificato da parte della rappresentanza consolare di un determinato Paese straniero operante in Italia.
Si tratta di una prassi, che spesso può sembrare più rapida ma che in realtà può rivelarsi più complessa: le rappresentanze consolari richiedono solitamente certificati provenienti dal Paese di origine, a cui bisogna comunque dare seguito con la legalizzazione degli stessi perché gli uffici pubblici italiani non sono in grado di verificare direttamente se siano validi o meno.
La traduzione dei documenti
Gli atti e documenti rilasciati dalle autorità straniere devono essere legalizzati dalle rappresentanze diplomatico-consolari italiane all’estero. Questi atti necessitano della traduzione in italiano, fatta eccezione per quelli redatti su modelli plurilingue previsti dalle Convenzioni internazionali.
In alcuni Paesi è prevista la figura giuridica del traduttore giurato, che può procedere a certificare anche la conformità del documento (tramite timbro), con legalizzazione della firma da parte dell’ufficio consolare. Nei Paesi dove questa figura è assente bisogna ricorrere alla certificazione di conformità apposta dall’ufficio consolare.
Il richiedente dovrà quindi presentarsi presso l’Ufficio consolare con l’atto o documento da legalizzare (ovviamente in originale): per ottenere il certificato di conformità della traduzione, il richiedente dovrà recarsi presso l’Ufficio consolare munito del documento originale in lingua straniera e della traduzione.
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