I decreti di rigetto delle Prefettura e Ministero dell’Interno per il procedimento in materia di cittadinanza per matrimonio sono impugnabili con ricorsi amministrativi o con ricorsi giudiziali, rispettivamente davanti al giudice amministrativo o davanti al giudice ordinario, a seconda dei casi, secondo le regole generali della giustizia amministrativa ed i principi elaborati dalla giurisprudenza dalla cassazione :
- nell’ipotesi in cui si controverta della sussistenza di fatti impeditivi ai sensi dell’art. 6, comma 1 lett. b) e c) legge di cittadinanza n. 91 – 1992 il richiedente può agire presso il giudice ordinario per il riconoscimento del diritto soggettivo all’acquisto della cittadinanza italiana;
- l’eventuale provvedimento emanato ai sensi dell’art. 6, comma 1 lett. c) legge di cittadinanza del 1992 può essere impugnato di fronte al giudice amministrativo del Tar, mentre se il decreto di rigetto dell’istanza interviene dopo 2 anni o a quella data non si sia emanato alcun decreto, competente è il giudice ordinario che può riconoscere l’intervenuta cittadinanza, anche disapplicando il provvedimento amministrativo di diniego (Cass., sez. un., 27 gennaio 1995, n. 1000).
Diritto soggettivo o interesse legittimo ad ottenere la cittadinanza ?
Rientrano nell’ambito di cognizione del giudice amministrativo i ricorsi (al Tribunale Amministrativo Regionale) contro i provvedimenti che comportano l’esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere discrezionale di valutare l’esistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, che ostino al riconoscimento della cittadinanza italiana del coniuge straniero o apolide di cittadino italiano. In tali ipotesi, il diritto soggettivo del richiedente di acquisire la cittadinanza affievolisce a interesse legittimo.
Perciò le controversie riguardanti l’applicazione dell’art. 6 comma 1, lett. c), legge 5 febbraio 1992 n. 91, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2009 n. 1891; Cons. Stato sez. IV, 22 marzo 2007 n. 1355; Sez. VI, 11 agosto 2005, n. 4334; sez. IV, 15 dicembre 2000, n. 6707).
Al di fuori della tale ipotesi di esercizio del potere discrezionale di valutare l’esistenza di motivi inerenti alla sicurezza dello Stato, sussiste il diritto soggettivo alla emanazione del decreto di riconoscimento della cittadinanza per il richiedente.
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario al fine di dichiarare, previa verifica dei necessari requisiti, che il coniuge è cittadino italiano (Cass., Sez. un. Civ., sentenze 7 luglio 1993, n. 7441 e 27 gennaio 1995, n. 1000; T.A.R. Lazio, sez. II Quater, 28 marzo 2007, n. 2727).
Revoca della cittadinanza in quali casi ?
La legge non consente la revoca del decreto di conferimento della cittadinanza italiana per circostanze sopravvenute (Cons. Stato, sez. VI, sent. 3 ottobre 2007, n. 5103 fra le pronunce più recenti).
Invece, nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ravvisi l’esistenza di cause ostative anteriori, essa può esercitare il potere di revoca del provvedimento illegittimo ab origine.
Infatti la circolare del 7 ottobre 2009 n. 13074 del Ministero dell’Interno– Dipartimento per le libertà civili e l’ immigrazione – Direzione centrale dei diritti civili, le minoranze e la Cittadinanza, dispone che qualora gli ufficiali di stato civile o le autorità diplomatico-consolari venissero a conoscenza di una separazione o di un divorzio intervenuti tra i coniugi prima della data di adozione del decreto di concessione della cittadinanza, ma non ancora annotati e trascritti a quel momento, essi devono comunicarlo alla Direzione Centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze del Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione del Ministero dell’Interno per la revoca del decreto di conferimento della cittadinanza.
Possibile la revoca della cittadinanza per motivi di sicurezza pubblico ?
La Corte di Cassazione ha invece negato l’ammissibilità della revoca dello status di cittadinanza per ragioni inerenti alla sicurezza della repubblica, ancorché preesistenti, avendo il coniuge acquisito, a due anni dall’istanza, un vero e proprio diritto soggettivo alla cittadinanza (Cass., Sezioni Unite civili, sentenze 7 luglio 1993, n. 7441 e 27 gennaio 1995, n. 1000; Cons. Stato, sezione VI, sent. 11 agosto 2005, n. 4334).